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28 marzo 2012
Apartheid in Palestina
ISRAELE E LE SUE COLONIE: NO AL CONSIGLIO ONU PER I DIRITTI UMANILo Stato ebraico ha interrotto i rapporti dopo che il Consiglio Onu per i diritti umani ha deciso di inviare nei Territori occupati una commissione per accertare le ripercussioni «civili, politiche, economiche, sociali e culturali» delle colonie ebraiche sulla vita della popolazione palestinese. Gerusalemme, 27 marzo 2012, Nena News – Israele ha deciso di interrompere ogni rapporto di lavoro con il Consiglio Onu per i diritti umani (Unhrc). «Non risponderemo più nemmeno alle telefonate», ha avvertito una fonte ufficiale dopo il passo fatto ieri dal ministro degli esteri Avigdor Lieberman di «rompere ogni contatto» con l’Unhrc, che ha sede a Ginevra. All’origine di questa decisione c’è il voto di giovedì scorso al Consiglio per i diritti umani di inviare nei Territori occupati, su richiesta dell’Anp, una commissione incaricata di raccogliere informazioni sulle ripercussioni «civili, politiche, economiche, sociali e culturali» delle colonie ebraiche – costruite da Israele in violazione della legge internazionale – sulla vita della popolazione palestinese. Una risoluzione adottata con 36 voti favorevoli e dieci astensioni: solo gli Stati uniti hanno votato contro.
Tel Aviv si prepara a non dare alcuna cooperazione alla commissione che, come ha fatto capire domenica il vice ministro degli esteri Moshe Ayalon, con ogni probabilità non sarà autorizzata a raggiungere i Territori palestinesi. Lo stesso accadde con la commissione d’inchiesta Goldstone, formata per indagare sui crimini di guerra commessi durante l’offensiva israeliana «Piombo fuso» (dicembre 2008 – gennaio 2009), che fu costretta ad entrare a Gaza passando per il valico di Rafah con l’Egitto. Israele potrebbe inoltre decidere ritorsioni nei confronti dei dirigenti dell’Anp che, afferma, avrebbero adottato «un approccio unilaterale… e usano la questione delle colonie per giustificare qualsiasi cosa». Giovedì scorso, dopo aver appreso del voto a Ginevra, il premier Benyamin Netanyahu aveva subito bollato la risoluzione come «ipocrita», ricordando che il Consiglio «ha finora assunto 91 decisioni, 39 delle quali relative a Israele, tre alla Siria e una all’Iran. Non tutti però in Israele condividono la linea del primo ministro di difesa ad oltranza delle colonie e, quindi, dell’occupazione. Nelle prossime settimane, ad esempio, tre giovani “refusnik” andranno in prigione, perché «colpevoli» di aver rifiutato il servizio di leva in protesta con la linea militarista del governo. Una scelta che lo Stato ebraico non riconosce come diritto. «Rifiuto il servizio militare per solidarietà con i palestinesi che lottano contro l’occupazione – ha spiegato Alon Gurman, 18enne di Tel Aviv, che entrerà in carcere il prossimo 16 aprile – Spero d’incoraggiare altri a fare lo stesso». Nena News
freedom palestine
| inviato da C.O.C. il 28/3/2012 alle 20:42 | |
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28 dicembre 2009
Gaza 29/12/2008 Piombo Fuso
[…]c’è un termine in ebraico, sudar, con cui si indica il sudario, e che in ebraico moderno significa sciarpa, scialle. E’ un termine che è indicato ben undici volte nella Mishnà, la codificazione della Torah orale, che raccoglie le principali opinioni degli scribi e dei rabbini sui problemi della legge.
“si mette un sudar duro in uno morbido e si avvolge il collo del condannato. Due boia tirano i due lembi di questa sciarpa in senso contrario, finchè il condannato apre la bocca per poter versare nei suoi visceri piombo fuso…”
Il destino di Gaza e dei Palestinesi e’ scritto!
(Domenico Savino 4/01/2009 “Piombo Fuso)
Un anno fa l'operazione Piombo Fuso
Gaza ricorda le 1.400 vittime
Quando l’operazione israeliana “Piombo fuso” a Gaza si concluse nel gennaio 2009, i palestinesi scoprirono che gran parte delle loro infrastrutture – comprese abitazioni, scuole, ministeri, la rete idrica e i servizi igienico-sanitari, l’energia e le reti di telecomunicazioni, strade, ponti e ospedali – erano state ridotte in macerie
ROMA (27 dicembre) - Un anno fa l'aviazione militare israeliano attaccava la Striscia di Gaza nell'operazione militare definita Piombo Fuso. Alle ore 11.25 locali, l'ora in cui iniziò l'attacco, su richiesta di Hamas gli abitanti hanno osservato un minuto di raccoglimento per ricordare le circa 1.400 vittime (stime israeliane) registrate in un mese di combattimenti, mentre risuonavano le sirene. Nella piazza antistante il parlamento sono stati esposti i nomi di ciascuna vittima. Per tutta la giornata si sono susseguite cerimonie, mentre programmi speciali venivano mandati in onda dalle stazioni radiofoniche e televisive locali.
I dirigenti di Hamas hanno sostenuto che Israele non è riuscito a conseguire gli obiettivi che si era prefisso alla vigilia della operazione. «La striscia di Gaza - ha rilevato Ismail Haniyeh - è ancora forte, Israele non è riuscito a sconfiggerci. L'isolamento della Striscia ha avuto l'effetto di indurire Gaza, al punto che non può essere sconfitta. Sono stati i nostri combattenti ad obbligare infine il nemico al ritiro, mentre la nostra resistenza proseguiva».
Mentre la Striscia è ancora alle prese con la ricostruzione e i feriti più gravi sono ancora assillati dalle cure mediche (spesso problematiche a causa dell'isolamento), Hamas conduce trattative indirette con Israele per uno scambio di prigionieri che, se realizzato, rappresenterebbe il maggiore successo politico negli ultimi due anni. «Ancora un accordo non c'è e non so se ci sarà » ha detto oggi il premier israeliano Benyamin Netanyahu, mentre a Damasco Hamas prosegue le consultazioni sullo scambio fra Ghilad Shalit e centinaia di palestinesi detenuti in Israele.
Nel frattempo aumenta la tensione fra il governo di Israele e i dirigenti dell'Anp a Ramallah, dopo che ieri l'esercito israeliano ha ucciso sei palestinesi: tre ai margini della striscia di Gaza e altri a Nablus (Cisgiordania). Questi ultimi, secondo l'esercito israeliano, avevano ucciso venerdì un rabbino in un'imboscata presso Nablus. Secondo l'Anp Israele avrebbe dovuto chiedere ai servizi di sicurezza di Abu Mazen di catturarli. Invece sono intervenute unità di elite israeliane e i tre miliziani (tutti di al-Fatah) sono rimasti uccisi. «Si è trattato di una esecuzione a sangue freddo» ha accusato un dirigente politico di al-Fatah. Ma Israele nega: i tre, afferma, si sono ripetutamente rifiutati di arrendersi, ed erano armati. Uno dei loro fucili, viene aggiunto, è quello che ha ucciso il rabbino. (Il Messagero)
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26 dicembre 2009
Israele ammette: rubati gli organi ai palestinesi morti
Il Santo Natale e' passato, ma sti cazzi! Fosse stato per me quest'articolo lo avrei postato ieri. Lo avrei servito sulle tavole imbandite dei banchetti pre e natalizi degli italioti, al posto del menu'. Non l'ho fatto! Ma non per rispetto o pudicizia, non l'ho fatto semplicemente perche', conoscendo lo spirito “italiota” dei miei connazionali, ho pensato che era inutile, tanto non sarebbe stato letto. Pensare o sperare di poter risvegliare nelle menti, ottenbrate, assopite, assenti, conformate, qualunquiste, assoggettate, fancazziste, vendute, dimentiche, pietiste, buoniste, benpensanti e circoncise anche solo un po' di sdegno sarebbe stato davvero sperare in un miracolo e io che nei miracoli non credo piu', specie in questo, ho deciso, mio malgrado, di attendere un giorno in piu', sia mai che mi malediciate per avervi rovinato, il vostro fottutissimo Santo Natale ...
Fonte: mazzetta.splinder
All'inizio di settembre un articolo del giornale svedese Aftonbladet aveva scatenato una crisi diplomatica tra Svezia e Israele. Nell'articolo i parenti di un palestinese denunciavano che gli israeliani avevano restituito il cadavere del loro caro dopo averne prelevato degli organi e che il loro caso non era unico.

Immediatamente da Israele si alzò un fuoco di sbarramento feroce che definì "antisemita" il giornale, la Svezia e chiunque prestasse orecchio ad accuse immaginarie (tanto per cambiare, tanto per non smentirsi mai). Oggi invece sappiamo che le "l'immaginario furto d'organi" è stata pratica comune in Israele per oltre dieci anni. A ridurre, solo parzialmente, l'orrore si è venuto a sapere che l'istituto forense israeliano Abu Kabir, non ne faceva questione di nazionalità (ambè, allora se e' così non vedo dove sia lo scandalo), rubava gli organi senza consenso sia ai cadaveri dei palestinesi che a quelli degli israeliani che transitavano dalla struttura per le autopsie. L'istituto era l'unico istituto di medicina legale del paese ed al centro di un clamoroso scandalo è che riguarda proprio un traffico internazionale d'organi a pagamento
Alcuni parenti di soldati israeliani morti hanno fatto causa all'istituto fin dal 2001, possibilità per ora negata ai parenti delle vittime palestinesi, perché gli espianti sui palestinesi erano negati dl governo israeliano (eggià e siccome erano negati si nega anche il fattaccio, cornuti e mazziati). Il dottor Hiss (stretto parente se non reincarnazione del dott. Mengele), nonostane le pesantissime accuse che comprendevano altre irregolarità (tra le quali una collezione di teschi umani e l'aver taroccato l'autopsia di Rabin), è stato assolto da ogni accusa e protetto dal governo, motivo dell'assoluzione è che Hiss non avrebbe tratto profitto dai suoi reati, perché "il suo unico interesse era l'avanzamento della ricerca scientifica"( Solo che a Mengele l'hanno accusato di crimini di guerra). Una giustificazione inaccettabile e imbarazzante che si è già sentita nel passato, Hiss continua ancora oggi a lavorare come patologo nella stessa struttura e il governo, difendendolo, ne ha condiviso implicitamente l'operato.
L'ammissione è contenuta in una intervista del 2000 all'allora capo dell'istituto Jehuda Hiss, al canale televisivo israeliano Channel 2 TV, intervista che poi non è mai stata mandata in onda, (nutrivate dubbi in tal proprosito?) conservando il segreto su questo modo criminale di procedere fino a ieri. L'intervista è andata in onda questo fine settimana e non perché in Israele si stia decidendo una nuova e discussa disciplina dei trapianti, per la quale i donatori di organi acquisirebbero la precedenza nei trapianti sui non donatori.

È stata Nancy Sheppard-Hughes, l'accademica statunitense che aveva intervistato il professor Hiss nel 2000, a decidere di rendere pubblica l'intervista proprio per la delicatezza delle questioni sollevate dall'articolo di Aftombladet. Secondo Sheppard-Hughes l'intervista dimostra che non esisteva un accanimento razzista sui corpi dei palestinesi, ma non si può mancare di notare che nell'esercitare la pratica sui palestinesi i medici israeliani hanno infranto leggi e norme che vanno oltre la deontologia professionale, visto che Israele non poteva esercitare alcuna sovranità sui corpi degli "stranieri" e ancora meno su quelli dei nemici uccisi in combattimento o durante i numerosi episodi di repressione ai danni della popolazione palestinese. Al seguito dell'intervista nessuno ha più avuto il coraggio di smentire nulla, anche perché è arrivata anche la stringata ammissione ufficiale dell'esercito "quelle pratiche hanno avuto luogo" a mettere la parola fine sulla questione.
Se il furto d'organi avesse interessato solo i corpi di cittadini israeliani lo scandalo avrebbe avuto una dimensione esclusivamente nazionale (certo anche perche' cio' che e' mio e' mio e ci faccio il cazzo che voglio, e quello degli altri e' anche mio per cui ci faccio il cazzo che voglio ma non voglio che si sappia), ma ora che si è saputo che il traffico si estendeva ai corpi dei palestinesi la questione diventa un problema di natura necessariamente internazionale e chiama in causa le responsabilità dei vertici del governo israeliano. Responsabilità relative a crimini gravissimi compiuti nei confronti di una popolazione sotto regime d'occupazione militare, ce n'è abbastanza per un'altra causa per crimini di guerra contro i governi israeliani dell'epoca (ipotesi quanto mai improbabile, loro sono gli eletti da dio e noantri semo un cazzo).
Uno scandalo e un colpo all'immagine che non potrà certo risolversi dando dell'antisemita a caso, ma anche una rivincita del quotidiano a del giornalista svedese che a settembre erano finiti nella bufera, costretti poi a precisazioni pelose per quietare l'assalto della propaganda israeliana e deflettere l'accusa di antisemitismo, portata rabbiosamente e a gran voce da blog e testate filo-israeliane, arrivando a parlare di "matrimonio all'inferno" tra l'Aftonbladet e Hamas. In Italia non era andata molto meglio e nessun politico aveva difeso il diritto di cronaca di fronte alla furia dei soliti noti, che erano giunti a chiedere il boicottaggio dell'IKEA contro i cattivi antisemiti.
Oggi, mentre Google News restituisce oltre un migliaio d'articoli sulla clamorosa conferma, la versione italiana offre solo sei risultati, nessuno dai maggiori quotidiani e nessuno che ricordi l'iniziativa di Fiamma Nirenstein (deputata del PDL con cittadinanza israeliana) che da sola causò un piccolo incidente diplomatico tra Italia e Svezia (per la serie come covarsi le serpi in seno), approfittando della sua posizione in Commissione Esteri per dare dell'antisemita agli svedesi in nome del governo italiano. Nessuno è corso neppure ad intervistare il ministro degli esteri Frattini, che aveva dismesso come false le notizie pubblicate da Aftonbladet.
Ancora una volta l'uso sistematico dell'accusa di antisemitismo da parte della propaganda israeliana si è rivelato efficace nel ridurre al silenzio le voci critiche con Israele, ma ancora una volta l'accusa si è dimostrata falsa, un'offesa e un insulto alla verità. Chi non ha ragioni da opporre, può ricorrere solo all'insulto, da tempo Israele è ridotto a poter usare solo l'espediente dell'accusa di antisemitismo perché di ragioni nel reprimere e cacciare i palestinesi nei territori, etiche o legali che siano, non ne ha più alcuna.
(Tra parentesi e in grassetto alcune mie personali considerazioni)
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19 novembre 2009
AL-NAKBA (la catastrofe)
LA PULIZIA ETNICA DELLA PALESTINA
Di Ilan Pappé
Recensito da Thomas Kues[1]

Nel Maggio di quest’anno, Alex Miller, del partito Israel Beiteinu (“La nostra terra Israele”) ha presentato alla Knesset un nuovo disegno di legge per reati d’opinione. Come i lettori di questo bollettino forse già sanno, Israele è uno di quei paesi amanti della libertà che proibiscono il “negazionismo dell’Olocausto”. Poiché il presunto genocidio con le camere a gas costituisce, per usare le famose parole del prof. Faurisson, “la spada e lo scudo” di questa entità neocoloniale, questo potrebbe essere un provvedimento legislativo lungimirante.
L’agenzia d’informazioni Memrit e altri “spin-doctor” e agenti israeliani della disinformazione, imitati pappagallescamente dalla maggior parte dei media occidentali, continuano a sostenere, nonostante le irrefutabili prove contrarie, che il Presidente dell’Iran Mahmoud Ahmadinejad, questa nuova incarnazione di Haman e di Hitler, stia preparando un olocausto nucleare per gli israeliani, avendo affermato persino pubblicamente la propria intenzione di “cancellare Israele dalla mappa”, quando in realtà disse che il regime israeliano sarebbe “scomparso dalle pagine della storia”, nel senso in cui accadde al regime sovietico. Si tratta degli stessi propagandisti che spronano l’Occidente ad andare in guerra contro l’Iran a causa del suo normale programma nucleare, mentre negano l’esistenza del loro imponente arsenale di armi nucleari (come dice Dick Morris: “Se l’Iran ottiene la bomba, la userà per uccidere sei milioni di ebrei”). Come dite voi “chutzpah”?[2]
Alex Miller ha alzato il livello dell’ipocrisia israeliana proponendo una legge che criminalizza ogni commemorazione pubblica dell’evento che i palestinesi chiamano “al Nakbah”, e cioè la brutale pulizia etnica di circa 800.000 palestinesi dalla loro madrepatria in occasione della creazione dello stato israeliano. Se la legge verrà approvata, la versione sionista ufficiale della storia sarà la sola ad essere permessa. Secondo questa utilitaristica espressione di falsa storiografia, i suddetti 800.000 palestinesi lasciarono le loro case volontariamente per lasciare campo libero agli eserciti delle nazioni arabe che nel 1948 fecero guerra al ricostituito stato israeliano.
Ilan Pappé, uno storico israeliano nato nel 1954, e professore di storia all’Università di Exeter, ha dedicato il suo libro La pulizia etnica della Palestina[3] allo smascheramento del mito della “ritirata volontaria”. Di conseguenza, è stato boicottato, isolato e diffamato con i soliti sospetti (ad esempio, si veda la pagina di discussione sull’articolo di Wikipedia su Pappé[4]).
Pappé è una persona onesta, pienamente consapevole dell’importanza politica del mito ufficialmente sanzionato, e del ruolo che il metodo revisionista deve esercitare nella soluzione della crisi medio-orientale. Contrariamente a molti storici israeliani (per non parlare dei politici e di altri portavoce ufficiali) che sostengono che Israele emerse come un Davide che aveva fronteggiato una schiera di Golia occidentali e arabi, non nega il ruolo cruciale che ebbe l’Olocausto nella fondazione di questo stato neocoloniale. In Occidente c’era la forte idea (alimentato dai lobbisti sionisti) di compensare gli ebrei con un loro stato in Palestina, che produsse una politica di concessioni verso i coloni israeliani. In realtà, la risposta inglese all’attentato terroristico contro l’Hotel King David e ad altri atti di terrorismo sionista fu estremamente misurata rispetto al trattamento inflitto ai ribelli palestinesi. Tutto ciò, associato al fatto che l’atteggiamento dei vicini stati arabi verso la questione palestinese fu decisamente ambiguo, ebbe come conseguenza che i palestinesi, dopo il crollo della loro classe dirigente alla fine della seconda guerra mondiale, si ritrovarono in una situazione disperata in cui nessuno era disposto ad aiutarli.
A differenza di altri casi di pulizia etnica, i responsabili della Nakba sono ben conosciuti, come le circostanze delle decisioni che la concretizzarono. L’uomo al vertice degli avvenimenti fu, non c’è bisogno di dirlo, David Ben-Gurion, a casa del quale tale soluzione venne discussa e preparata. Subito sotto di lui c’era un gruppo di dodici consiglieri, tra cui Moshe Dayan, Yigael Yadin, Yigan Allon e Yitzhak Sadeh. La cerchia successiva era costituita dai comandanti regionali, ognuno responsabile della pulizia etnica di una certa area. La maggior parte di questi uomini vengono oggi presentati come “eroi di guerra”. Il più famoso fu il futuro primo ministro Yitzhak Rabin, che operò nelle città di Ramle e di Lydda, come pure nell’area della Grande Gerusalemme. Altri comandanti furono Moshe Kallman, Moshe Karmel e Shimon Avidan. Un ruolo cruciale venne esercitato da funzionari dell’intelligence, comandati dal futuro capo del Mossad e dello Shabak[5], Issar Harel. Questi uomini furono coinvolti in alcune delle peggiori atrocità, ed ebbero anche l’ultima parola su quali villaggi dovessero essere distrutti e su chi dovesse essere ucciso. Fare una lista dei criminali responsabili non sarebbe un problema, ma naturalmente un processo del genere non avrà mai luogo.
Pappé sottolinea che la Nakba non venne condotta in base a una decisione improvvisa, ma fu il risultato di un lungo processo le cui radici risalgono alla fase pionieristica del sionismo. Già nel 1917, Leo Motzkin, descritto da Pappé come un sionista moderato, parlò del reinsediamento forzato dei palestinesi in aree esterne alla “Eretz Israel” [Grande Israele]. Si può dire che l’effettiva preparazione militare ebbe inizio alla fine degli anni ’30 quando il gruppo paramilitare Haganah, che più tardi divenne lo zoccolo duro dell’esercito, fu ristrutturato con l’aiuto del funzionario inglese O. C. Wingate, in modo tale che le “forze di difesa” ebraiche fossero associate alle truppe inglesi che combatterono la rivolta palestinese del 1936. In tal modo, i membri dell’Haganah appresero come terrorizzare e sottomettere gli indigeni.
Il programma sionista venne preparato nei minimi particolari. Studiosi di topografia e di etnologia vennero assunti dal Jewish National Fund per registrare tutti i dati disponibili sui villaggi palestinesi, un progetto che venne completato all’inizio degli anni ’40. In particolare, venne presa nota di quei villaggi dove erano diffusi sentimenti antisionisti. Tali villaggi vennero presi particolarmente di mira dall’esercito israeliano. Come Pappé fa notare, gli studiosi coinvolti, a partire da Ezra Danin, erano pienamente coscienti che la loro attività era finalizzata a scopi militari. Nel 1947, venne compiuta la revisione finale del loro “archivio”, per produrre le liste dei palestinesi “ricercati”. Questa categoria consisteva di persone coinvolte nel movimento nazionale palestinese (che aveva dominato la politica palestinese dopo il 1933), persone che avevano preso parte alle insurrezioni contro le truppe inglesi o sioniste, o persone che semplicemente avevano “visitato il Libano”. Nel 1948, queste persone vennero radunate e giustiziate. In certi casi, a essere “ricercati” erano interi villaggi.
Il programma di pulizia etnica di Ben-Gurion venne finalmente realizzato a partire dalla fine del 1947. Portava il nome in codice di “Piano D” (o Dalet, in ebraico). Come si può dedurre dalla sua designazione, era stato preceduto da tre piani poi scartati. L’operazione venne preparata fin nei dettagli e poi rivista per essere adattata a nuove situazioni. Il Piano A datava al 1937, mentre il Piano B venne stilato nel 1946. Il nocciolo del Piano C, una lista dettagliata di azioni violente da condurre contro i palestinesi, passò nel Piano D. I leader palestinesi, gli agitatori e le persone che li finanziavano, i palestinesi che partecipavano ad azioni contro gli ebrei, e i funzionari e gli ufficiali palestinesi di rango superiore (ricompresi nel Mandato Inglese) – dovevano tutti essere uccisi. Inoltre, i trasporti dovevano essere danneggiati, l’economia palestinese (pozzi d’acqua, fabbriche, ecc.) distrutta, e i luoghi pubblici (inclusi i caffè) attaccati.
Forse le prove più schiaccianti contro i negazionisti della Nakba vengono fornite nel capitolo 4. Qui apprendiamo che la prima fase della pulizia iniziò già nel Dicembre del 1947, con gli attacchi ebraici contro un certo numero di villaggi palestinesi. Sebbene in scala ridotta rispetto a quanto accadde in seguito, queste prime operazioni portarono all’esilio di circa 75.000 persone, quasi il 10% della cifra totale delle vittime della Nakba. Secondo la versione ufficiale, le espulsioni di massa ebbero luogo solo dopo il 15 Maggio del 1948, e furono la conseguenza della guerra arabo-israeliana. In realtà, il “Piano D” venne iniziato il 10 Marzo 1948. Questo significa che le azioni contro i palestinesi non furono attuate come rappresaglia ma facevano parte di un programma di violenze apertamente dichiarato, che portò - alla fine dell’Aprile di quell’anno - all’espulsione di ulteriori 250.000 palestinesi. A tutto ciò fece poi seguito una serie di massacri intesi a mettere in fuga la popolazione rimanente.
L’alleanza araba, pur consapevole della situazione disperata dei palestinesi, aspettò fino alla metà di Maggio - quando il Mandato Inglese ebbe formalmente termine e venne dichiarato lo stato ebraico - per intervenire militarmente. Il tacito accordo tra Ben-Gurion e i governanti giordani, in base al quale la Giordania avrebbe dovuto occupare il 20% del territorio palestinese come proposto dalle Nazioni Unite, trattenne l’esercito arabo più forte dal difendere i palestinesi, dando un grande aiuto all’attuazione della pulizia. I leader sionisti, mentre usavano l’immagine apocalittica di un “secondo olocausto” per aumentare il numero di reclute dell’esercito, non dubitarono mai che le loro forze sarebbero state sufficienti per battere i deboli eserciti arabi, occupare la Palestina ed espellere la sua popolazione indigena.
Molte pagine dell’opera di Pappé sono dedicate al gran numero di massacri attuati nei villaggi palestinesi, come Ayn al-Zaytun (dove, tra gli altri, vennero legati e fucilati 37 adolescenti presi a caso), Tantura, Lubya, Ayn Ghazal, Dawaymeh (centinaia di civili falciati davanti a una moschea, bambini con la testa fracassata, donne stuprate o bruciate vive), Sa’sa, Safsaf, Hula, Saliha. Qualche assassino venne in seguito incriminato da corti militari, ma la maggior parte venne poi rilasciata. Uno di loro, Shmuel Lahis, che aveva ucciso personalmente 35 persone, venne graziato dal presidente israeliano ed ebbe poi una carriera politica. Oltre ai massacri nei villaggi, molte delle espulsioni ebbero luogo in condizioni particolarmente inumane. Nelle città di Lydd e di Ramleh, gli abitanti dovettero percorrere a piedi tutto il tragitto per la Cisgiordania. Come ci si poteva aspettare, molti morirono durante il percorso. Anche i bombardamenti aerei ebbero un ruolo importante nel processo di espulsione.
La mentalità ordinaria dei leader sionisti di Tel Aviv e dei macellai sul posto si può intravedere da citazioni come quella tratta dall’annotazione del diario di Ben-Gurion del 24 Maggio 1948, dove il primo ministro parla di distruggere la Siria, la Transgiordania e l’Egitto come vendetta del loro presunto trattamento del popolo ebreo “al tempo della Bibbia”. Possiamo ricordare a questo proposito l’invettiva contro Babilonia del Salmo 136: “Beato chi afferrerà e sbatterà i tuoi bambini contro la roccia!”.
Gli ultimi tre capitoli del libro riguardano la susseguente occupazione della Palestina, il furto continuato delle terre palestinesi, la profanazione dei luoghi di culto musulmani, e i vari aspetti dell’oppressione israeliana di quei palestinesi che rimasero sulla loro terra dopo il 1948. Un aspetto cruciale di questa tirannia è costituito dalla negazione ufficiale che una qualsivoglia pulizia etnica abbia mai avuto luogo. La proposta di mettere fuori legge la memoria della Nakba, e il recente disegno di legge che vorrebbe rendere la negazione del “diritto di Israele di esistere come stato ebraico” un reato punibile fino a un anno di prigione, sono chiari segni di disperazione. Se, o piuttosto quando, queste proposte verranno trasformate in leggi, la falsità della tesi di Israele di essere un normale stato democratico diventerà sempre più ovvia anche nelle nazioni occidentali, con i loro media faziosamente pro-israeliani. Nel frattempo, il pregevole e accurato libro di Ilan Pappé – è certamente uno dei migliori libri scritti finora sulle origini dello stato israeliano – merita di essere diffusamente letto e discusso.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.codoh.com/newsite/sr/online/sr_163.pdf
[2] Termine ebraico che designa la spudoratezza e l’improntitudine (nota del traduttore).
[3] http://www.fazieditore.it/scheda_libro.aspx?l=1098
[4] http://en.wikipedia.org/wiki/Talk:Ilan_Papp%C3%A9
[5] Acronimo ebraico dell’israeliano Shin Bet, il servizio di intelligence degli affari interni.
| inviato da C.O.C. il 19/11/2009 alle 21:44 | |
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4 novembre 2009
Mandiamo i sionisti su un'altra galassia

TUTTO SOMMATO SONO UN AUTENTICO EBREO SIONISTA
di Gilad Atzmon
traduzione di Gianluca Freda
Sono un sopravvissuto dell’Olocausto
Sì, sono un sopravvissuto, poiché sono riuscito a sopravvivere a tutti gli spaventosi racconti sull’Olocausto: quello sul sapone [1], quello sui paralumi in pelle umana, quello sui campi, sulle esecuzioni di massa, quello sul gas [2] e quello sulle marce della morte [3]. Sono riuscito a sopravvivere a tutta questa roba.
Nonostante tutte queste favole volte a seminare paura, che furono appositamente inculcate nella mia anima da quando aprii gli occhi per la prima volta, sono diventato un essere umano normale e perfino di successo. In qualche modo e contro ogni probabilità sono riuscito a sopravvivere all’orrore. Sono riuscito anche ad amare il mio prossimo. Nonostante tutti questi indottrinamenti paurosi e traumatici, sono miracolosamente riuscito a padroneggiare il mio gioioso sassofono alto anziché un lamentevole violino.
Anzi, ho già deciso che nel caso in cui la Regina, o qualsiasi altro membro della Famiglia Reale, dovesse prendere in considerazione l’idea di nominarmi baronetto per i miei risultati nel campo del bebop, o per aver osato fronteggiare la barbarie sionista con la mia nuda penna, cambierò immediatamente il mio pseudonimo da Atzmon a Vive, solo per diventare il primo e unico Sir Vive [in inglese suona come survived, sopravvissuto, NdT].
Sono assolutamente contrario alla negazione dell’Olocausto
Condanno in modo netto tutti coloro che negano i genocidi che stanno avendo luogo in nome dell’Olocausto. La Palestina è un esempio, l’Iraq un altro e quello tenuto in serbo per l’Iran è probabilmente troppo spaventoso da contemplare.
L’Olocausto è una religione relativamente nuova [4]. E’ priva di pietà o di compassione e promette invece soddisfazione attraverso la vendetta. Per i suoi seguaci è in qualche modo liberatoria, perché consente loro di punire chiunque vogliano finché ne ricavano piacere. Ciò potrebbe spiegare perché gli israeliani abbiano finito per punire i palestinesi per i crimini compiuti dagli europei. E’ piuttosto chiaro che questa nuova religione emergente non parla semplicemente di “occhio per occhio”; parla invece di un occhio per migliaia e migliaia di occhi.
Un mese fa, mentre era in visita ad Auschwitz, il ministro della difesa israeliano Ehud Barak ha lasciato una nota nel registro ufficiale dei visitatori: “Un Israele potente sarà allo stesso tempo sollievo e vendetta” [5]. Nessuno sarebbe riuscito a riassumere meglio l’aspirazione di questo culto. La religione dell’Olocausto non offre redenzione. E’ una cruda e violenta manifestazione di bieca brutalità collettiva. Non può risolvere nulla, poiché un’aggressione non può che portare a nuove e nuove aggressioni. Nella religione dell’Olocausto non c’è posto né per la pace né per il perdono. Date retta a Barak, è nella vendetta che questa gente trova sollievo.
Negare il pericolo rappresentato dalla religione dell’Olocausto e dai suoi seguaci significa essere complici di un sempre più ampio crimine contro l’umanità e contro ogni possibile valore umano.
Sono anche un fervente sostenitore del Progetto Nazionale Ebraico
Alcuni pensano che dopo 2000 anni di “spettrale Diaspora” gli ebrei abbiano diritto ad una propria “nazione d’appartenenza”. A quanto pare i sionisti avevano intenzioni serie. Lo Stato Ebraico è oggi sufficientemente reale da aver trasformato l’intero Medio Oriente in una bomba a tempo.
Scorrere il registro dei crimini compiuti da Israele contro l’umanità nel corso degli ultimi sei decenni non lascia molto spazio per la speculazione. Abbiamo a che fare con una società sinistra e patologica. Di conseguenza, per quanto alcuni di noi possano concordare sul fatto che gli ebrei debbano poter godere di un ipoetico diritto ad un proprio stato, il pianeta Terra non è certamente il luogo ideale per una simile realizzazione.
Solleciterei dunque la NASA ad unirsi al progetto e a compiere sforzi particolari per trovare un idoneo pianeta alternativo che possa fungere da patria dei sionisti, nello spazio o meglio ancora in un’altra galassia. Il Progetto Galattico Sionista implicherebbe il passaggio immediato dalla “Terra Promessa” al “Pianeta Promesso”. Sottolineerei in modo entusiastico che anziché cercare “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, ciò che dobbiamo realmente cercare è un “pianeta solitario”. Al limite anche “deserto”, visto che questa gente si vanta di saper fare fiorire i deserti. In un pianeta di loro proprietà i sionisti galattici non avrebbero più bisogno di opprimere nessuno, non potrebbero più compiere pulizie etniche, non dovrebbero rinchiudere le popolazioni indigene in campi di concentramento, perché non ci sarebbero intorno popolazioni indigene da tormentare, affamare, massacrare e cancellare. Non dovrebbero più lanciare fosforo bianco addosso ai loro vicini, perché non avrebbero nessun vicino. Raccomando caldamente alla NASA di cercare un pianeta a gravità molto bassa, affinché alla gente sia possibile andare in giro sentendosi leggera. Dopo tutto vogliamo che i nuovi sionisti galattici possano godersi il loro futuristico progetto tanto quanto i palestinesi e molti altri si godrebbero la loro assenza.
Perciò eccomi qui, in fondo sono un autentico ebreo: sono un sopravvissuto, mi oppongo alla negazione dell’Olocausto, sostengo l’aspirazione nazionale ebraica. Neanche il rabbino capo d’Inghilterra potrebbe chiedermi di più.
1 – Recentemente riconosciuto come “mito” dal museo israeliano dell’Olocausto Yad Vashem.
2 - Un fatto storico tutelato dalla Legge Europea.
3 – Un racconto leggermente confuso. Se ai nazisti interessava annichilire l’intera popolazione ebraica d’Europa, come suggerito dalle narrazioni ortodosse del sionismo sull’Olocausto, allora è piuttosto arduo capire cosa li abbia spinti a far marciare ciò che restava dell’ebraismo europeo verso l’ormai distrutta madrepatria nazista in un momento in cui era chiaro che stavano perdendo la guerra. Le due narrazioni, cioè “annichilimento” e “marce della morte”, sembrano contraddirsi l’una con l’altra. L’argomento necessita di ulteriore elaborazione. Posso solo suggerire che le risposte ragionevoli in cui mi sono imbattuto danneggiano gravemente la narrazione olocaustica del sionismo.
4 – Il professore di filosofia israeliano Yeshayahu Leibowitz è stato probabilmente il primo a definire l’Olocausto “nuova religione ebraica”.
| inviato da C.O.C. il 4/11/2009 alle 20:40 | |
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